
02 Ago Credit Manager Mizuya: “Tra crescita, rinascita, occupazione, quale impatti della nuova Riforma Fiscale?”
L’Italia è tra i paesi con i più pesanti effetti sanitari ed economici della pandemia.
Sul mercato del lavoro si misurano già pesanti effetti della recessione, estesi al lavoro indipendente che segna il peggior calo di occupati dal 2005. Gli effetti della pandemia si riverberano sulla stabilità della struttura imprenditoriale; a seguito dello straordinario prosciugamento dei fondi liquidi provenienti dalla clientela, più di un terzo delle imprese rimane esposta, almeno fino all’estate, a seri problemi di liquidità. Gli interventi pubblici per contrastare la carenza di fondi liquidi sono stati ingenti, mentre le imprese hanno dovuto sostituire i fondi liquidi provenienti dalle vendite con prestiti bancari. La sostituzione di liquidità proveniente dai pagamenti dei clienti con prestiti bancari influisce negativamente sugli oneri finanziari e la creazione di valore aggiunto, mentre il maggiore indebitamento richiederà tempi lunghi per essere completamente riassorbito dai bilanci delle imprese. L’economia italiana rimane imbrigliata da un eccesso di risparmio.
Lo sforzo fiscale determinato dalle politiche anticicliche nelle economie avanzate è ingente, con ricadute senza precedenti sul debito pubblico. Mentre cresce la pressione fiscale, la caduta degli investimenti privati è stata solo in parte compensata dall’aumento degli investimenti pubblici. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rilancia i processi di accumulazione di capitale: solo un più sostenuto ritmo degli investimenti, grazie agli elevati moltiplicatori fiscali, può generare la maggiore crescita necessaria per mantenere la sostenibilità di lungo periodo del debito pubblico. Ma non basta investire, servono qualità ed efficacia nella gestione dei progetti: elevati tempi di realizzazione delle opere pubbliche e costi eccessivi possono ridurre gli effetti moltiplicativi degli investimenti pubblici. La qualità della pubblica amministrazione e la riduzione della burocrazia rappresentano fattori chiave di successo della politica fiscale e del PNRR, rispetto ai quali il nostro Paese deve recuperare forti ritardi. Vi è un eccessivo peso delle complessità amministrative; per la burocrazia fiscale, la più pervasiva, l’Italia è all’ultimo posto tra i 27 paesi dell’Unione europea, tre posizioni dietro al 24° posto di dieci anni prima, rendendo le politiche della semplificazione fiscale dell’ultimo decennio inutili.
L’impulso di bilancio in risposta alla pandemia è stato straordinario, ma per l’Italia pesa il vincolo dell’alto debito pubblico: secondo l’ultimo confronto internazionale proposto al Fondo monetario internazionale evidenzia che gli spazi fiscali – spesa aggiuntiva e minori entrate – in rapporto al Pil in Italia sono di oltre due punti di Pil inferiori a quelli della Germania, sono la metà di quelli del Regno Unito e solo un terzo di quelli utilizzati negli Stati Uniti.
La vischiosità delle entrate fiscali rispetto alla repentina caduta del ciclo economico nel 2020 ha determinato una crescita della pressione fiscale, che registrerà una riduzione a partire dal 2021. Nel 2020 la caduta degli investimenti privati per 31 miliardi di euro è stata solo in parte compensata dall’aumento di 2,8 miliardi di investimenti pubblici; nonostante il recupero nell’ultimo biennio, nel 2020 permane un gap, valutato a prezzi correnti, di 5,8 miliardi di euro di investimenti pubblici rispetto a dieci anni prima.
Il documento conclusivo di riforma fiscale è articolato in due capitoli.
Nella prima parte sono indicati gli obiettivi: crescita dell’economia e semplificazione del sistema tributario.
La seconda parte invece riguarda le misure riguardanti i principali segmenti del nostro sistema tributario, dall’Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche fino alla tassazione di impresa, dall’Imposta sul Valore Aggiunto al trattamento fiscale dei redditi finanziari, passando per le specificità proprie del mondo del lavoro autonomo e per le tematiche connesse al potenziamento della lotta all’evasione fiscale e al miglioramento del rapporto tra fisco e contribuente.
«Il problema principale dell’economia italiana, da cui derivano molte delle altre criticità, è un tasso di crescita del Pil sostanzialmente inferiore a quello dei paesi dell’area-euro», si legge nel testo. Nel ventennio 1999-2019 il tasso di crescita annuale medio del Pil reale in Italia (0,46%) è stato inferiore a quello dell’area euro (1,46%). Tutte le analisi macroeconomiche, si legge ancora nel documento, concordano nell’includere il mal funzionamento del sistema fiscale tra le principali determinanti del nostro problema di crescita.
Ci sono almeno tre dimensioni dell’attuale sistema tributario che sono un ostacolo per una crescita economica sostenibile: il peso sui fattori produttivi, il ruolo delle aliquote marginali effettive e la complessità del sistema fiscale.
La riforma, dunque, parte da una sforbiciata allo scaglione centrale dell’Irpef – quello che colpisce il ceto medio – proponendo un abbassamento dell’aliquota media nella fascia di reddito 28mila-55mila euro; il superamento dell’Irap, che dovrebbe essere assorbita nei tributi attualmente esistenti; la rateizzazione anche per il secondo acconto delle imposte sui redditi. Superamento dell’Irap, ridisegno della struttura dell’Irpef, introduzione dell’IRI per gli utili non distribuiti delle realtà imprenditoriali di dimensioni minori, migliorare la tassazione che incide sull’allocazione del capitale, semplificare e codificare il sistema fiscale. Sono tutti aspetti che riducono il peso del fisco sui fattori produttivi e ne aiutano una loro allocazione meno distorsiva. Quindi, per definizione, favoriscono la crescita.
Particolarmente interessante il capitolo “microtasse”: si tratta di una gran quantità di imposte che portano allo Stato un gettito pari allo 0,01% del totale, mentre per i cittadini significano solo maggiori preoccupazioni e più scadenze da rispettare. Delle oltre 100 imposte presenti in Italia, le 10 più importanti – tra queste Iva, Irpef, Irap, Imu – producono il 90% del gettito. Secondo l’Osservatorio dei Conti pubblici della Cattolica ci sono almeno 19 microtasse da abolire: tutte insieme producono un gettito di appena 685 milioni di euro. Tra queste, la tassa sulla raccolta dei funghi, l’imposta regionale sulla benzina, i diritti di archivi notarili, il tributo speciale di discarica, il Superbollo, la tassa di laurea, le tasse di pubblico insegnamento, l’imposta sugli intrattenimenti. C’è solo un modo per semplificare questa selva di tributi, abolendoli. Perché si tratta di tasse dal gettito talmente irrisorio che il costo della riscossione è quasi maggiore del gettito che raccolgono.
In generale, la riforma dovrebbe semplificare il sistema fiscale a partire da quattro punti fondamentali: oltre alla cancellazione di tributi minori c’è la codificazione delle norme fiscali, l’elevazione al rango costituzionale di alcune parti dello Statuto del contribuente, e l’avvicinamento tra bilancio fiscale e bilancio civilistico.
La domanda è: una riforma così strutturata riuscirà a raggiungere gli obiettivi di crescita economica, semplificazione e graduale riduzione del Debito Pubblico?
A Voi la risposta.
Nagaishi