“Il Rating in tempi di Covid”: EdiMiz a cura del Prof. Claudio Mario Grossi Professore di Finanza Università Cattolica del Sacro Cuore

“Il Rating in tempi di Covid”: EdiMiz a cura del Prof. Claudio Mario Grossi Professore di Finanza Università Cattolica del Sacro Cuore

Scrivo questo pezzo sapendo di rivolgermi a persone esperte e “del ramo”, quando si parla di rischio di default e quindi – in altri termini – di rating.

Darò quindi per conosciuti molti concetti che stanno un po’ alla base dei criteri e delle logiche di costruzione di un rating di un’impresa, sulla base del quale si è chiamati a valutare concettualmente e anche quantitativamente, l’opportunità di stabilire rapporti creditizi con quell’impresa, siano essi commerciali o finanziari.

So di scrivere solo una banalità, se evidenzio che i bilanci e le performance quantitative in genere delle imprese, nel 2020, potranno solo dar luogo a rating gravemente peggiorativi rispetto a quelli di provenienza.

Le conseguenze sono tristemente ovvie, ma se in materia di credito commerciale i credit manager potrebbero liberamente trovare modo – all’interno della propria azienda e in accordo con i vertici aziendali – di modificare i criteri di misurazione del fido rendendoli in qualche modo capaci di tener conto della straordinarietà del 2020, nel mondo del credito finanziario – bancario in particolare – nulla di ciò è possibile.

L’impatto di rating pessimi e di probabilità di default elevate, sulle politiche creditizie delle banche e degli intermediari finanziari vigilati, sarà quello che le normative europee decideranno che sia.

Se alle banche non sarà consentito di modificare in alcun modo le politiche creditizie rispetto alla rischiosità delle imprese, sarà un bagno di sangue, che tuttavia continuerei personalmente a credere – per lo meno a sperare – non accada.

Se non vi saranno deroghe a tutta o parte della “filiera” di decisioni a cui sono tenute le banche, dipendenti dalla valutazione del rischio di credito – cioè: quantità e forme tecniche di credito concesso/rinnovato; tassi e condizioni in base alla percentuale di rischio-default; classificazione dei crediti in base al rischio e connessi accantonamenti a fondi rischi nel proprio bilancio; e così via – allora temo che sarà un’ondata di danni per le imprese e per l’intera economia, peggiori del COVID_19.

Una situazione così delicata, però, impone di aprire ancor più seriamente un dibattito strutturale – e non congiunturale – sui modelli di valutazione del rischio di default delle imprese, quindi in primis del rischio di credito.

Da sempre muovo critiche a quello che ormai può essere ben chiamato il “mercato del rating”. Spiego perché.

Fare della valutazione del rischio di default di un’impresa una “commodity”, da vendere sul mercato al minor prezzo, ha prodotto e produrrà sempre più effetti collaterali molto negativi, a causa della banalità e della superficialità delle “analisi” (virgolette d’obbligo) vendute a pochi euro.

La fonte fondamentale dei dati e delle informazioni che costituiscono la modellistica di misurazione dei rischi di default, piaccia o non piaccia ai fautori di innovative metodologie e strumentazioni come l’intelligenza artificiale applicata ai cosiddetti big-data, è e sarà sempre il Bilancio d’Esercizio di un’impresa.

Chi sa fare analisi degne di questo nome – cioè soprattutto sganciate da dogmi storici scritti su migliaia di testi, talvolta persino imbarazzanti per la loro insulsaggine – sa anche come sia pressoché impossibile applicare automatismi di analisi ai bilanci civilistici depositati, sperando di avere qualche risultato significativo.

Il tema è talmente lungo e ricco e complesso, da richiedere ben altro che lo spazio di un articolo, e per questa ragione provo a concludere questo, di articolo, mediante la tecnica di porre alcune domande che reputo fondamentali, nella speranza di incuriosire. poi si vedrà se e come approfondire in seguito i singoli aspetti.

Rammento che il punto-chiave della questione è il “mercato del rating” che per la parte fondamentale del medesimo – ammesso che rating sia, e non solo uno “scoring”, cioè l’analisi del bilancio – basa i suoi risultati sulla costruzione “automatica” di indici e indicatori, a loro volta basati su una riclassificazione “automatica” dei bilanci stessi.

Che ne pensate dei bilanci in forma abbreviata ex art. 2435 bis del c.c.? Non sto a descriverne l’assoluta insignificanza tanto dello Stato Patrimoniale quanto del Conto Economico, dato che chi legge è esperto.

C’è qualcuno al mondo che possa seriamente pensare che da essi, così come sono, si possa estrarre qualche minima informazione “affidabile” sulle performance dell’impresa, per di più in modo “automatico”?

Ebbene, oltre il 90% delle società di capitali, in Italia, fa bilanci in forma abbreviata, avendone i requisiti. e il “mercato del rating” ha ovviamente soprattutto queste imprese, come target, sul quale vengono “sparati” giudizi e misurazioni di rischio di default che definire pretestuosi è poco.

In realtà, si fanno danni, in questo modo.

Pensate forse che cambi molto, per il rimanente 10% di imprese di capitali che redigono bilanci in forma completa, in termini di qualità delle analisi “automatiche” di performance e di rischio?

Faccio solo un esempio, tra i tanti possibili, di seria problematicità: dal 2016 qualche avveduto legislatore ha modificato il conto economico previsto al 2425 del c.c eliminando il comparto “E” delle voci di natura straordinaria (sopravvenienze, plusvalenze, e qualsiasi componente di costo o ricavo di natura straordinaria).

Che fine fanno quelle poste? Sono “annegate” nelle voci A5 (ricavi diversi, se positive) o B14 (altri costi di gestione), se negative. Quindi: come è possibile determinare “automaticamente” la reale redditività caratteristica di un’impresa (EBIT o Margine Operativo Netto che si voglia)?. Risposta facilissima: impossibile.

Siccome in nessun serio modello di scoring, o di rating, è pensabile che non sia presente – con diverse configurazione e relazioni – la redditività operativa dell’impresa, basta questo esempio per capire che affidabilità può avere un punteggio – o ancor peggio una probabilità di default – basato su numeri non veri.

Vogliamo aggiungere che nei bilanci abbreviati non esiste distinzione tra natura dei debiti e dei crediti?

Per conseguenza, vogliamo ancora sostenere che uno stupidissimo indice come “totale attivo corrente diviso totale passivo corrente” (al giorno di chiusura del bilancio ….) abbia un qualche significato?

E siccome ho introdotto la questione dell’ultimo giorno di bilancio – giacché le voci di Stato Patrimoniale tali sono: un mero saldo di mastri all’ultimo giorno del bilancio – vogliamo dirci che quei saldi patrimoniali/finanziari, quelle “fotografie”, hanno una qualche minima e sensata capacità di raccontare l’intero “film” dell’anno, dal punto di vista delle dinamiche di capitale circolante commerciale, operativo e finanziario (di cui manco c’è la distinzione, nei bilanci abbreviati)?

Esistono, nella normativa, obblighi di informativa sui dati e sui valori medi/annui di tali dinamiche di circolante? Ovvio che no; invece di arricchire le norme che impongano il rilascio di informazioni realmente utili a chi deve fare analisi di performance e di rischio di impresa, sono state normativamente soppresse voci di bilancio indispensabili alle analisi.

Si aggiunga infine che le società di persone non hanno alcun obbligo di informativa di bilancio, che tali società sono in numero pressoché pari alle società di capitali con bilanci abbreviati, e infine che – alla luce della nuova normativa sulle crisi d’impresa che prima o poi vedrà la luce completamente – sta nascendo una corrente di pensiero che tende ad incrementarne il numero, trasformando di nuovo le Società a Responsabilità Limitata in una delle società di persone previste dal codice civile.

In questo quadro di qualità/quantità dei dati e delle informazioni disponibili, quale “mercato del rating” è nato e prolifera?

Mi fermo qui, con solo una minima parte di tutte quelle deformazioni strutturali e di sistema che rendono strutturalmente preoccupante l’attuale valutazione del merito di credito e dei rischi di default delle imprese italiane.

Quanto sarà realmente peggio a causa del grave deterioramento dei bilanci e dei numeri delle imprese a causa del COVID_19, sarà impossibile misurarlo seriamente, adottando gli stessi sistemi “automatici” di analisi che già di per sé sono strutturalmente e seriamente deficitari, quando non addirittura fuorvianti.

Metter mano normativamente al sistema delle informazioni ufficiali delle imprese, rivoluzionandolo a 360 gradi, è il vero “must” del futuro, senza il quale si continuerà a vivere dell’illusione di capire le imprese, la loro affidabilità e i loro rischi di credito, con pochi euro di presunti “rating”.

Prof. Claudio Mario Grossi
Professore Finanza
Università Cattolica del Sacro Cuore

 



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